Cremazione e religione

“L’abbruciamento dei cadaveri, come non tocca l’anima e non impedisce all’Onnipotenza Divina di ricostruire il corpo, non è cosa contraria alla religione cristiana.”

(Papa Paolo VI – 5 luglio 1963)

Ogni Religione si è occupata dell’uomo e della sua esistenza, dando a tutto un significato e accompagnando con cerimonie e gesti simbolici i passaggi della vita. Anche la morte, conclusione ineluttabile dell’essere umano, è sempre stata al centro di riti sacrali di onoranza all’estinto, ma anche e possibilmente di perpetuazione o trasformazione della sua esistenza. Ne sono esempio usanze funebri di antichissima attività, dall’egiziana all’azteca, dall’etrusca alla shintoista. In particolare ci riguarda da vicino il cristianesimo, che ormai da due millenni informa la cultura del mondo europeo occidentale. Una rapida scorsa agli annali della Chiesa attesta che di norma essa accetta in materia funeraria le usanze dei Paesi in cui si diffonde, purchè ovviamente non ostino alla proprie credenze.

Fu così che nell’antica Roma, ove coesistevano cremazione ed inumazione, vennero accettati i “Coemeteria”, luoghi della dormizione, a prefigurare la nuova vita a cui saranno chiamati i credenti, a guida di Colui di cui si professano seguaci. Ma è chiaro che in Paesi di altre culture, quali India o Giappone, non poteva che essere consenziente al locale comportamento, di norma cremazionista. Nella nostra cultura, per contro, è sotto la spinta illuminista del secolo scorso che gli anticlericali vollero porsi in antitesi al costume generale della sepoltura, determinando automaticamente la posizione di rigido vietismo della chiesa Cattolica. Ma gli eventi storici, per loro natura in continuo divenire, devono registrare tra gli altri clamorosi aggiornamenti rituali della Chiesa negli ultimi tempi, anche quello da più parti invocato della pratica crematoria, apponendovi il sigillo di approvazione pontificia il 5 luglio 1963 (Concilio Vaticano II). La SOCREM milanese non aveva atteso tale data per apporre sul frontale dei forni crematori al Cimitero Monumentale le parole della genesi:

PULVIS ES ET IN PULVEREM REVERTERIS

Filosofia della cremazione

La cremazione è un rito antichissimo, ma è ragionevole pensare che le motivazioni che ne sostengono l’idea non si siano poi così tanto modificate nel tempo.

Ognuno, ovviamente, ha le proprie trattandosi di una scelta intimistica: ma volendo provare ad identificare quelle che ci appaiono più ricorrenti potremmo dire che la cremazione è scelta perché:

  • si vuole evitare il lento processo biologico degenerativo della decomposizione;
  • per motivi igienici, civici od estetici;
  • c’è sempre una atavica incontrollabile paura di essere sepolti vivi;
  • non piace o viene addirittura rifiutato il culto dei cimiteri e dei sepolcri come inteso oggi con tanto carico di conformismo;
  • si vuole diversità anche nella morte e dopo di essa;
  • la cremazione si propone con valori di nobiltà che aiutano le persone a prepararsi meglio alla perdita di chi si ama ed al proprio trapasso.

Quando poi alla cremazione segue la dispersione delle ceneri, si vedono emergere altri valori:

  • il rifiuto totale del cimitero e del suo carico ,a volte cupo, di tradizioni
  • il desiderio di un ultimo definitivo segno d’affetto (farsi disperdere in un luogo legato a cari ricordi) o estetico (luoghi di grande bellezza naturale o di suggestione storica)
  • l’aspirazione di tipo metafisico ad un ricongiungimento globalizzante con la natura (la dispersione nel vento…)

Nel romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, di Milan Kundera, la protagonista chiede di essere cremata e poi le ceneri disperse per morire “sotto il segno della leggerezza” e non, come i suoi amici inumati, sotto il segno della pesantezza. L’Autore Kundera commenta: “Essa sarà più leggera dell’aria dato che, come insegna Parmenide – filosofo greco del V secolo a.c. – il fuoco è la trasformazione del negativo in positivo”.